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La Convenzione di Faro e la Comunità patrimoniale erede della Batteria Ca’Bianca

La Convenzione di Faro e la Comunità patrimoniale erede della Batteria Ca’Bianca

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Adriano De Vita, Faro Venezia

Pochi giorni fa la Batteria Ca’ Bianca al Lido è stata chiusa al pubblico dall’agenzia del Demanio che la
gestisce. Sarebbe più giusto dire che avrebbe dovuto gestirla perché di fatto l’ha abbandonata al suo
destino da molto tempo causandone un grave degrado.
Da qualche anno l’Associazione In Diversity ha tentato di prendersene cura tra mille difficoltà, prima fra
tutte le durata brevissima delle concessioni continuamente rinnovate all’ultimo momento, fino ad arrivare
allo sfratto finale. Senza concessioni di lunga durata è risultato del tutto impossibile accedere a fondi
pubblici per progetti di recupero perché questi sono sempre vincolati ovviamente alla disponibilità a
lungo termine dei luoghi da rivitalizzare. Senza questa disponibilità nessun investimento serio è possibile
perché non sono possibili l’accesso al credito e partenariati importanti. Non sappiamo come si svilupperà
questa vicenda. Nel migliore dei casi un bene pubblico diventerà privato, ma sicuramente non “bene
comune” perché questo status non è previsto nel nostro ordinamento e quindi è assente anche nella menti
dei decisori pubblici. Nel caso peggiore la Batteria invece tornerà ad essere un luogo abbandonato e
dimenticato anche da chi abita due passi, come è stato negli ultimi anni e come è tornata ad esser la
caserma Pepe che ha una storia analoga.
Il contesto politico e sociale però negli ultimi tempi è cambiato in modo sensibile e può darsi che gli echi
di questi mutamenti arrivino prima o poi anche nella nostra isola. Sono cambiate sopratutto due cose: una
richiesta sempre crescente da parte della cittadinanza di partecipare in modo attivo alle decisioni che le
riguardano, cioè di democrazia partecipata, e alcuni cambiamenti nella legislazione a che cambiano
radicalmente il concetto di patrimonio e di bene culturale.
Prima di tutto vediamo un attivismo civico per negli anni passati non esisteva. Questo è evidente non solo
a Lido ma dappertutto in Italia e in Europa. Sono ormai moltissimi i casi di buona collaborazione tra
amministrazioni pubbliche che hanno portato ottimi risultati nella trasformazione di luoghi, spesso
pregevoli e notevole valore storico, abbandonati in centri aggregazione sociale, sviluppo culturale, e
servizi per il miglioramento della qualità della vita nell’ambiente circostante. Si va ormai molto oltre il
concetto di “centro sociale” che appare come un residuato bellico, testimonianza di un epoca passata, ma
anche oggi potenzialmente dannoso perché privilegiano un approccio antagonista invece che
collaborativo. Quella che si è diffusa invece è l’idea di innovazione sociale. Si tratta di pratiche
innovative, mutevoli e di non semplice comprensione.

In ogni caso si tratta di un tipo particolare di innovazione il cui scopo è quello di produrre benessere appunto “sociale”, cioè diffuso e inclusivo, nell’ambiente in cui si attua. Più precisamente l’innovazione sociale interviene dove lo stato non arriva e l’impresa privata fallisce. Occupa questo spazio intermedio che è precisamente lo spazio di abbandono nel quale si trovano da molto tempo alcuni luoghi di pregio della nostra isola che il pubblico non riesce a gestire che non sono al contempo appetibili per i privati. I nostri forti abbandonati sono un chiaro esempio di questa “area cieca” di degrado che può essere oggetto di innovazione sociale. Le buone pratiche di tutto questo sono ormai innumerevoli in Italia e in tutta Europa anche se sono sempre troppo poche per fare sistema, e appaiono ancora più come interessanti eccezioni, come esperimenti, più che come pratiche consolidate.

Sia chiaro che trasformare un forte storico in un albergo con piscina non è innovazione sociale. Lo è
invece se si forma un partenariato tra cittadinanza attiva e ente locale per produrre servizi educativi,
culturali, di supporto agli anziani, a famiglie deboli, a giovani a rischio, a chi cerca un coworking o
anche semplicemente come spazio accogliente per il tempo libero.
Le innovazioni di questo tipo sono lente. Non sono semplici da capire perché superano il semplicistico modello pubblico/privato che ci è stato inculcato fin dalla nascita e ci appare illusoriamente come l’unico possibile. Un’altra grande difficoltà dall’apparato amministrativo che opera per procedure consolidate e tema, per sua natura, qualunque forma di innovazione.
Nonostante questo alcune novità appaiono e timidamente si fanno strada. Per esempio nel bando PON
della città di Venezia che si aprirà in gennaio si parla esplicitamene di innovazione sociale come criterio
di priorità nella scelta dei vincitori. Sono piccole cifre che produrranno piccoli risultati però è una
occasione anche per la macchina amministrativa che inizia a fare esperienza, ad abituarsi per gradi alla
novità.

In questa situazione si inserisce la recente ratifica della Convenzione di Faro che ora è legge delle
stato. La Convenzione introduce molte novità e che ribaltano atteggiamenti e procedure tradizionalmente molto ostili alle iniziative della società civile che vuole “immischiarsi” nelle decisioni strategiche in tema di patrimonio. Preciso subito che la Convenzione è una legge quadro, cioè un insieme di indirizzi ai quali lo stato si impegna a conformasi nelle sue leggi specifiche. Grossomodo funziona come la costituzione, non come una legge operativa. Non prevede sanzioni non consente ricorsi al TAR, per capirci meglio. Dunque non serve a nulla? Serve come atto politico. Lo stato si impegna a seguirne gli indirizzi nelle sue scelte e a indirizzare le sue strutture operative nella steso senso. Questo non è poco e infatti gli effetti si vedono perché a soli due mesi dalla ratifica è già nata rete nazionale, coordinata dal Consiglio d’Europa, di organizzazioni civiche, istituzioni e amministrazioni pubbliche che ha iniziato a scambiarsi esperienze e lavorare su programmi comuni.
Questa Convezione è scritta in modo chiaro e semplice, proprio come la nostra Costituzione, ma non è
affatto facile da capire perché introduce importanti novità che spesso contrastano con il modo di pensare
corrente. É difficile per la sua novità, non il sé stessa. Ma vediamo brevemente alcune delle novità
principali.
Un primo tratto innovativo consiste nel definire per la prima volta in termini compiuti ed inequivocabili il patrimonio culturale in quanto oggetto di un diritto umano. In altre parole, esiste un diritto umano al
patrimonio culturale.

Poi viene introdotto il concetto di Comunità Patrimoniale. Per comunità patrimoniale si intende
“un gruppo umano che vuole sostenere con pubbliche azioni un patrimonio culturale ritenuto
degno di essere trasmesso alle future generazioni”. Queste comunità sono associazioni, anche
informali, ma composte da persone che si assumono un ruolo attivo di cura di un “pezzo” di
patrimonio che per loro ha particolare valore.
E’ questo che ci consente di definire beni (ed espressioni di ogni genere, anche intangibili) culturali non più solamente “cose” ma anche e soprattutto costrutti sociali, cioè significati che le persone attribuiscono alle cose, agli ambienti e alle relazioni con essi. Questo va sottolineato: il patrimonio è una costruzione sociale, non un “dato”. Le cose infatti non hanno alcun significato in loro
stesse. Anche la basilica di san Marco potrebbe esser vista come un ammasso di pietre colorate. Le cose
non “hanno”significati. Sono le persone che attribuiscono significati alle cose. Sempre e senza eccezioni.

La Convenzione afferma con forza il diritto e la necessità della partecipazione dei cittadini in tutte le fasi del processo di patrimonializzazione: dalla definizione di che cosa è patrimonio alle azioni necessarie per tutelarlo e valorizzarlo.
Questo cambia in modo radicale il ruolo assegnato ai volontari, non più esecutori passivi di
volontà altrui. Il ruolo del servo sciocco che fa da tappabuchi lavorando gratis si trasforma
di colpo in quello di un co-decisore che pretende di agire come protagonista a livello politico.
Sembra semplice, ma è una vera rivoluzione nel modo di concepire il patrimonio perchè contrasta
in modo evidente con il tradizionale approccio elitario e verticistico tipico del nostro paese.
Come se non bastasse la Convenzione afferma che questo diritto al patrimonio si esercita
“indipendetemente da chi ne detiene la proprietà“.
Questo ridimensionamento del diritto di proprietà (forse l’unico credo unversale della nostra
epoca) supera largamente i consueti vincoli posti dalle soprintendenze – Ora nasce questo soggetto nuovo – la comunità patrimoniale – che potrebbe teoricamente vincolare qualunque cosa.

Tutto questo crea comprensibili tensioni nelle amministrazioni pubbliche, a tutti i livelli, anche quando
sono animante dalle migliori intenzioni nei confronti di questo nuovo attivismo civico.
Quello che cambia è la concezione stessa della democrazia. Non più delega “in bianco” a decisori eletti
da cittadini che subito dopo le elezioni tornano al ruolo loro assegnato di essere dormienti e indifferenti.
Si tratta di passare all’esatto contrario, cioè ad un deliberato processo di “potenziamento” della
cittadinanza, del suo protagonismo, delle sue capacità progettuali e realizzative. Con tutte queste
novità non è strano che nei casi come quelli della Batteria Ca’Bianca, Caserma Pepe e molti alti casi
analoghi in città le amministrazioni statali (Demanio in quesrti casi) non sappiano bene come comportarsi e tendano chiudersi in pratiche autoritarie e a rifiutare l’aria nuova che comincia a soffiare. Servono anche competenza nuove, oggi quasi del tutto inesistenti dentro la macchina amministrativa.
In ogni caso il punto è questo: può una agenzia dello stato rifiutarsi di agire ignorando le linee guida una
legge dello stato? La risposta è chiara: non può. Se lo facesse diventerebbe un corpo estraneo, un
servizio”deviato” che opera secondo logiche proprie come entità indipendente al di fuori della leggi in
vigore.
Aspettiamo fiduciosi che anche l’Agenzia del Demanio “digerisca” le novità che abbiamo descritto e
agisca di conseguenza.

Links utili
Sull’innovazione sociale
https://bando.che-fare.com/vademecum/3-concetti-e-definizioni-sullinnovazione-sociale/
Un esempio recente: Badia Lost & Found
https://badialostandfound.com/quartiere-badia/
La storia del lavoro di In Diversity nella batteria Ca’Bianca – Forte Emo
https://www.fortinfest.org/difendiamo-la-batteria-ca-bianca/
Il testo della Convenzione di Faro
https://farovenezia.org/convenzione-di-faro/
La legge di ratifica

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